In Italia, si stima che 3 milioni di donne siano affette da endometriosi, una patologia cronica e invalidante, ma ancor oggi non sufficientemente conosciuta. Caratterizzata dal proliferare dell’endometrio, mucosa che riveste la cavità uterina, e dalla sua comparsa in sedi anomale, principalmente ovaie, tube, intestino (in casi rari anche reni e polmoni), è causa di enormi disagi per le donne affette, che lamentano sintomi quali forti dolori durante il ciclo mestruale e durante i rapporti sessuali, perdite abbondanti o al di fuori dei cicli, disturbi intestinali e malessere generale.
La diffusione dell’endometrio, pur se in zone anormali, comporta il suo sanguinamento durante i giorni della mestruazione e provoca irritazioni e disfunzioni dei tessuti coinvolti, formando cisti e cicatrizzazioni. Tra le conseguenze di questa patologia subdola e debilitante, oltre a una qualità della vita fortemente minata, vi è soprattutto un alto tasso di infertilità: secondo le stime, un terzo delle donne colpite da endometriosi ha difficoltà a rimanere incinta. Ciò è vero soprattutto con l’avanzare dell’età, essendo una malattia che tende a peggiorare negli anni. Nonostante la gravità della condizione che l’endometriosi comporta, essa rimane oggi una delle patologie con il più lungo ritardo diagnostico, che può variare mediamente dai 4 ai 10 anni.
Nelle forme minime di endometriosi (cioè quelle più lievi), gli specialisti preferiscono attendere come evolve la situazione nei 6-12 mesi successivi, in quanto, nei suddetti frangenti, è possibile una guarigione spontanea. Al contrario, in tutti gli altri casi (quindi, forme moderate, forme gravi o forme minime che non guariscono spontaneamente), optano per la pianificazione di una terapia, che può essere: farmacologica oppure chirurgica. In tali circostanze, la scelta terapeutica dipende da almeno tre fattori, che sono: la gravità della malattia, il desiderio di riproduzione della paziente e l’età di quest’ultima.