Negli ultimi decenni, l’attenzione dei ricercatori sugli effetti negativi connessi al fumo di sigaretta è andata via via crescendo con l’aumentare del numero di fumatrici in gravidanza. I rischi esistono, sono concreti e non vanno sottovalutati.
Il fumo, infatti, è responsabile di almeno 800 delle 3700 morti improvvise che avvengono ogni anno negli Usa. I medici, infatti, devono avere una conversazione franca con le donne in gravidanza ed intimare loro che ogni sigaretta eliminata durante la gestazione è una possibilità in meno di morte improvvisa del bambino.
A conferma, uno studio condotto su oltre 20 milioni di bambini dal Seattle Children Hospital e da Microsoft e pubblicato dalla rivista Pediatrics ha evidenziato come una sola sigaretta al giorno fumata in gravidanza, possa aumentare il rischio di morte improvvisa del bimbo dopo la nascita.
Appurato, quindi, che nessuno minimizza i rischi connessi alla gravidanza combinata al fumo, sia esso attivo che passivo, è pur vero che le mamme sono umane e spesso possono non farcela a “smettere” nemmeno per quel lasso di tempo che portano in grembo il bambino.
Cercare di non superare il tetto delle tre sigarette fumate al giorno è fondamentale. Questo consentirebbe di tenere “bassi” i livelli di nicotina, tabacco e tossine nel sangue e nel latte materno. Non allattare subito dopo aver fumato una sigaretta, ma al contrario attendere il più a lungo possibile prima di portare il bambino al capezzolo al fine di consentire alla nicotina assunta di defluire. Lavare le mani e il viso, coprirsi i capelli e cambiarsi d’abito (è sufficiente la maglia o camicia con cui il bambino entrerà a contatto) una volta spenta la sigaretta.
Se queste precauzioni consentono di ridurre, per quanto possibile, l’esposizione del bambino al fumo, va da sé che il traguardo auspicabile sarebbe di dare un taglio drastico alle sigarette.